Scuola Media Paritaria

a.s. 2015-2016

SCUOLA MEDIA e DOPOSCUOLA

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Da trent’anni a Fonte Nuova

per garantire una didattica centrata sui bisogni, il ritmo e lo stile di apprendimento di ogni singolo allievo

Presentazione
Prima di entrare nello specifico del Pof del nostro Istituto, vogliamo dare una rapida panoramica
ai “non addetti ai lavori” di ciò che rappresenta l’educazione, l’apprendimento, la formazione nei
nostri giorni, attraverso le parole di uomini di cultura, nei quali a volte ci identifichiamo e
prendiamo come maestri per svolgere al meglio il nostro compito educativo. Ci permettiamo anche
di considerare, come manuale di riferimento, il testo di Emilio Silvestrini: “L’educazione come
processo interiore” ed. Borla 1992;. dal quale reperiamo tutte le citazione che troverete nella lettura
di queste pagine e nel quale ci ritroviamo nella volontà di “educare formando”. l’individuo nella sua
dualità corporea e spirituale.

Un po’ di storia:
La dimensione storica del processo educativo parte da Socrate, nel quale compare il concetto
di un educare sociale nel contesto della polis con le sue leggi, i costumi e gli ordinamenti. La polis è
vista come centro di un universo, inteso come ordine.
Il pragmatico mondo romano trasforma poi tale processo educativo in una istituzionalizzazione
di stampo meramente scolastico.
La civiltà cristiana dà un apporto nuovo ed originale al processo educativo attingendo al
messaggio biblico ciò che permane, nonostante tutto, lungo i secoli fino ad oggi nella pedagogia
cattolica, che trova i suoi massimi vertici in S. Agostino e S. Tommaso.
Passando attraverso la riforma protestante, il processo educativo vede una evoluzione che dalla
scolastica conduce alla controriforma.
Contemporaneamente il mondo laico, dall’umanesimo al rinascimento in poi, inizia a scoprire
l’uomo in una dimensione terrena nuova rispetto al passato, un individuo alla ricerca di una
collocazione storica, libera e critica diretta ad indagare sull’essenza reale e sui fini oggettivi
dell’umano esistere


Successivamente una nuova dicotomia appare nel processo educativo con il razionalismo e
l’empirismo, in cui la lenta scoperta del protagonismo dell’uomo nella storia e la concorde visione
di una realtà, immanenti o immanentistiche, finiscono per accomunare le sue diverse correnti che in
Immanuel Kant trovano poi la loro necessaria conclusione, confluendo nel criticismo Kantiano
trasformate e sintetizzate.
In seguito, in pieno illuminismo maturano e si affermano i principi del diritto, del
costituzionalismo, della libertà. E’ il concetto di libertà (l’apporto più grande della cultura
illuministica) che viene poi ad influenzare il pensiero romantico (cattolico non escluso), fino ad
affermarsi nella pedagogia positivista, in cui sociologia e pedagogia interagiscono.
Quindi, dopo l’affermazione del pragmatismo americano, la dimensione storica del processo
educativo contemporaneo, si configura come approccio interdisciplinare di scienze umane e sociali
( senza alcuna precisa “leadership”) che cercano, in una visione di libertà e di democrazia, di aiutare
l’uomo nelle sue scelte di vita, libere e consapevoli.

Principi Pedagogici :
Nella seconda metà dell’800, con lo sviluppo della grande industria, dell’urbanesimo e delle
migrazioni, si sono venuti a creare nuovi modelli di vita ,che hanno trasformato rapidamente la
società. I primi a risentirne sono stati il movimento operaio e l’ agricoltura. Declinava lentamente il
fascino di un umanesimo astratto, come puro e semplice ornamento dello spirito, ma di poca utilità
pratica, mentre si faceva strada l’importanza di un saper concreto, legato alla vita e al
miglioramento delle condizioni umane; nascevano nuove speranze in ogni campo, pedagogico-
didattico compreso, di riforme. La civiltà industriale favoriva altre tendenze ed iniziative atte e
miranti a soddisfare nuovi bisogni degli uomini, prospettando il miraggio di una nuova epoca di
progresso e di libertà. L’esigenza di questo rinnovamento socio-pedagogico nella sua fase di
attuazione veniva a mettere in crisi la metodologia scolastica tradizionale.
Rousseau è stato considerato l’anticipatore della nuova tendenza e il principio dei diritti del
fanciullo, da lui proclamato, contro le impostazioni dell’adulto e dei maestri è diventato, per non
pochi pedagogisti, il fondamento della educazione. Su questa linea si è collocato pure il pensiero di
John Dewey, pragmatista, influenzando largamente l’America prima e l’Europa poi. Questi fattori si
sono venuti integrando con i risultati dei rigorosi studi psicologici fatti da Claparéde e la sua Scuola
su basi scientifiche e sperimentali e non più sulla semplice intuizione. Nasceva così e si delineava
sempre più un vasto movimento innovativo che, quasi rivoluzionando i vecchi sistemi tradizionali,
trovava la sua applicazione concreta in numerose esperienze ed istituzioni, le quali venivano a
qualificarsi e ad essere denominate come Scuole nuove”. L’intero movimento è stato poi definito
con il nome di “attivismo”.
L’attivismo si avvale di contributi offerti dalla biologia, psicologia, sociologia e riconosce il
fanciullo come una totalità che spontaneamente reagisce integrandosi con i fenomeni dell’ambiente
naturale e sociale. Il bambino diventa così il centro della scuola (Paidocentrismo); ossia da uditore
passivo si trasforma in attore principale, il quale – attraverso esperienze personali dirette –
acquisisce il proprio sapere e diventa personalità autonoma e responsabile.
L’intelletto si sviluppa, più che con i libri, con le esperienze realmente vissute, con gli
avvenimenti, nei quali gli alunni sono coinvolti, e quindi con la stessa attività che ciascuno compie,
stimolati dai propri interessi. L’educazione morale è la conquista interiore, libera e consapevole,
dell’autogoverno, raggiunta mediante autonoma riflessione e mai per imposizione esterna ottenuta
con premi e castighi.
Due sono gli indirizzi fondamentali che si sviluppano: uno di orientamento naturalistico-
scientifico e l’altro di ispirazione cristiana.
Il primo orientamento – al quale appartengono Claparéde, Ferriere, kerschenstiner, Reddie,
Baden-Powel, Pizzigoni, Montessori, Pakhurst, Kilpatrick, Washburne, Cousinet, Freinet e altri
ancora – accetta la legge biogenetica, secondo la quale la crescita dell’individuo ripete l’evoluzione
della specie e ritiene che l’ educazione coincida con lo sviluppo naturale. Perciò la formazione
umana si risolve nell’attività biopsichica e l’educazione è vista non come preparazione e
introduzione alla vita essa stessa; in altre parole, il fanciullo viene rispettato per quello che è e non
in funzione dell’adulto che diverrà. Sicché, come critica acutamente il Giovannini, “la natura
prevale sullo spirito, l’osservazione è più importante della riflessione, l’azione ha il primato sul
pensiero ed il fare diventa lo strumento ed il fine del processo di maturazione perché il
soddisfacimento dei bisogni e dei relativi interessi del soggetto determina il comportamento
dell’individuo che reagisce all’ambiente fisico e sociale con una risposta dettata dalle esigenze
psicologiche, oltre che biologiche. Questo orientamento pedagogico accenna ad una generica
religione naturale a cui è rivolta la ragione ma esclude ogni trascendenza a cui tende lo spirito”.
Il secondo orientamento – al quale appartengono Devaud, Demolins e Bertier, Manjòn, Rosa e
Carolina Agazzi, Boschetti Alberti ed altri ancora – parte da una concezione dualistica della realtà:
corpo e anima, materia e spirito, natura e grazia, immanenza e trascendenza, io e Dio, che pur nella
distinzione ed analogia si sforza di collegarli in una visione armonica, globale ed unitaria. Esso mira
ad una concezione completa del soggetto educando che tenga conto insieme dello sviluppo fisico e
di quello intellettivo e ponga in considerazione i valori dell’anima. In questa chiave educativa anche
se le tecniche di insegnamento, i sussidi impiegati, il materiale didattico adoperato acquistano molta
importanza, tuttavia non sono così determinanti come per l’orientamento pedagogico precedente.
Ciò che ha valore è la coscienza dei fini, le motivazioni dell’atto educativo. L’educazione, infatti,
non è tanto sviluppo in senso biologico e sociologico, quanto piuttosto ricerca ed acquisizione
dell’equilibrio personale, del dominio degli istinti, della vittoria sugli impulsi legati ad una visione
naturalistica e soprannaturalistica dell’esistenza; e perciò presuppone una ricerca ed un impegno
personale per raggiungere la piena formazione del proprio carattere in campo morale sociale e
religioso3.
“Educare […] significa guidare alla formazione totale dell’essere umano come persona e tener
conto non solo del rafforzamento fisico e dello sviluppo dell’intelletto e della volontà, ma anche
delle aspirazioni alla libertà ed alla religiosità, insite nell’animo di ciascuno”.
Maritain ripropone in pieno secolo XX la concezione geocentrica “medioevale” contro le
tendenze alquanto consumistiche e centrifughe della cultura contemporanea. Egli , infatti, combatte
la unilateralità e la parzialità delle vedute del pragmatismo, del marxismo, della psicanalisi,
dell’esistenzialismo, del già tramontato umanesimo “borghese” per riedificare una società fondata
sull’uomo considerato nella sua realtà integrale. Se si desidera oltrepassare il tormentato
disorientamento che tanto affligge oggi l’umanità necessita ritornare alle origini e sollevare lo
sguardo
verso la metafisica senza minimamente trascurare il mondo e ricostruire l’uomo e la
civiltà ristabilendo una sintesi operativa tra lo spirito e la carne.
Per circa settanta anni però l’attivismo rappresenta la bandiera del rinnovamento, la formula
unica che ravviva e rinvigorisce l’educazione. Necessariamente, quando l’umanità riprende il suo
cammino, dopo la conclusione della seconda guerra mondiale, riparando alle immani distruzioni
materiali e morali e cercando soluzioni ai rapidi processi di trasformazione della società, l’attivismo
appare insufficiente e non più idoneo ad offrire una risposta soddisfacente per i complessi problemi
del nostro tempo. Gli stessi progressi degli studi psicologici relativi all’intelligenza infantile
compiuti soprattutto da Piaget, di cui l’attivismo non può avvalersi, favoriscono il nuovo
orientamento. Lo sviluppo delle scienze e l’esplosione tecnologica in ogni campo provocano il
fenomeno della espansione scolastica come conseguenza della opportunità educativa offerta a tutti e
impongono la necessità del prolungamento del periodo scolastico obbligatorio e dell’educazione
permanente, le conoscenze ad opera dei mass-media, della stampa, della pubblicità. L’attuale
situazione ripropone così il problema educativo in nuovi termini e presenta la prospettiva di una
nuova pedagogia.
Nonostante tutto ciò che di positivo l’attivismo ha portato, l’atteggiamento di apertura alle
esigenze dei ragazzi, l’azione stimolatrice di rapporti diretti e personali con l’ambiente fisico e
sociale, il favorire l’acquisizione di esperienze proprie che siano socializzanti e rispettose dei fattori
emotivo-affettivi; il Giovannini afferma che Il metodo attuato dall’attivismo, incentrato sui bisogni
e sui conseguenti interessi personali dell’educando e sul loro appagamento ottenuto con una azione

manuale diretta, attraverso la quale il soggetto, mentre modifica l’ambiente, apprende
immediatamente e si forma culturalmente, abolisce le singole materie di insegnamento e propone al
loro posto, l’acquisizione di conoscenze empiriche e generiche collegate tra loro ma prive di ogni
chiara e precisa articolazione scientifica.
“L’insegnare non è un semplice comunicare o travasare la scienza del maestro allo scolaro, ma è
un praebere, cioè un offrire, un mostrare, direttamente, sia ai sensi che all’intelletto, l’oggetto o la
verità che si vuol far conoscere, affinché il discepolo giunga al possesso di essa attraverso un atto
autonomo della mente.”
Educhiamo dialogando
La nostra cultura occidentale , fra i molti esempi fornitici, evidenzia almeno tre forme di
dialogo: il dialogo socratico, quello evangelico, quello psicoanalitico. Nel primo gli interlocutori
sono alla ricerca di un punto di accordo sul quale sia la verità, come faceva il filosofo Socrate, al di
là delle apparenze e dei giudizi personali;nel secondo coloro che dialogano, sviluppano un
confronto sulle cose e sui valori per rivelare la vera identità e la vera vocazione delle persone alla
luce del messaggio cristiano; nel terzo lo psicanalista (psicologo – terapeuta) cerca di individuare
eventi e circostanze che hanno creato un turbamento della mente e del comportamento ed aiuta il
paziente ad uscirne fuori rimovendo le cause. ma la vera differenza – come osservano Del Bufalo,
Quadrini e Troia – fra i tre modelli sta in questo: nella diversa relazione che viene ad instaurarsi fra
gli interlocutori. Nel dialogo socratico si va in cerca di una verità esterna alla vicenda umana e
personale di chi parla; il maestro la conosce e guida l’allievo o l’ascoltatore a scoprire quella stessa
verità: il dialogo è centrato su quest’ultima e il rapporto fra gli interlocutori non è mai paritario. Nel
dialogo evangelico Gesù, che è la Verità, la Via e la Vita per l’uomo, dimostra di essere interessato
alla reale situazione umana del suo interlocutore: il dialogo è centrato sulle persone. Nel dialogo
psicanalitico uno parla e l’altro inizialmente ascolta, decifra, ricerca fra le parole indici e sintomi
della malattia: il dialogo è centrato sul male che affligge uno dei due interlocutori10.
Ciò che è comune alle tre forme di dialogo suddette sta nella convinzione medesima che nel
dialogo l’altro può farci scoprire qualcosa della verità, di noi , della vita, e di ciò che ci circonda e
che ancora non sappiamo. E così la parola va oltre se stessa e conduce alla rivelazione e alla
liberazione. Un’etica personalista, fondata sul dialogo, pone l’altro e non l’io, al centro della
relazione, il primo si sforza di mantenere un equilibrio nel rapporto, offrendo all’altro la possibilità
di comunicare scelte diverse, senza imporre a tutti i costi il proprio punto di vista. Nel dialogo le
persone prima di criticarsi cercano di comprendersi, accettandosi per quelle che sono, hanno un
atteggiamento di rispetto e di fiducia, di interesse per l’altro, non intendono manipolare a propri fini
la comunicazione, sanno regalare silenzi. Il dialogo , dunque, per il tipo di relazione che presuppone
e realizza fra le persone, può insegnare molto a noi uomini moderni su ciò che è bene e ciò che è
male nell’incontro con l’altro: esercitarsi a dialogare vuol dire cominciare a cambiare il mondo con
una ecologia della mente e delle relazioni”.
Come fare lezione:
Con il succedersi degli studi in materia si venne alla conclusione che per metodo didattico non
dovevano solo intendersi le norme o regole strutturali da seguire dall’alunno e dall’insegnante, ma
anche quelle relative ai metodi di valutazione ed impiego delle capacità tecniche sia dell’educando
che dell’educatore. In fondo il metodo stesso, costituisce una regola alla quale deve aggiungersi la
intuizione, la libertà e sensibilità di ogni alunno. Così Facendo è avvenuto che, per merito precipuo
della psicologia sperimentale, quella che veniva chiamata didattica dell’insegnamento, è oggi
divenuta didattica dell’apprendimento, partendo dal concetto che non interessa insistere sulla
lezione da insegnare, ma su ciò che gli alunni apprendono dalla lezione. A tale proposito
l’educatore sfrutterà i riflessi condizionati degli educandi per cui ad un dato stimolo corrisponde un
dato effetto; poi procederà col seguire i tentativi, le ricerche, gli stessi eventuali errori,
dell’educando; giacché solo così potrà scorgere la percezione confusa e indistinta che si forma nel
fanciullo; si tratterà di una percezione che però, per quanto confusa, sarà globale e da qui quello che
è detto globalismo nell’insegnamento. Qual è dunque il fine specifico dell’attuale didattica? Quello
che riesce a conciliare gli interessi dello scolaro con le strutture logiche di una determinata materia
e che attua tutto ciò attraverso le varie forme in cui è possibile realizzare l’insegnamento. Tali
forme sono: innanzi tutto la lezione che non deve consistere semplicemente in una più o meno
completa esposizione fatta dal maestro, ma di una attività di collaborazione che permette ad ogni
alunno di recepire, quanto più e meglio possibile, ciò che forma oggetto di un dato insegnamento.
Da qui la deduzione che il metodo da usare nella lezione non può mai essere lo stesso per ogni tipo
di insegnamento, in quanto le facoltà di apprendimento di ogni singolo alunno variano da soggetto a
soggetto. Identico deve essere, invece, il fine della lezione e cioè quello di essere recepita dal
maggior numero degli allievi e nel modo più completo e approfondito possibile. Per ottenere ciò
l’insegnante deve, innanzi tutto, acquistarsi la simpatia e la fiducia degli alunni e deve servirsi di

tutti i mezzi tecnici che la scienza contemporanea pone a disposizione dei vari insegnamenti nei
diversi ordini di scuola: mezzi audiovisivi, mass-media in genere, ed ogni altro postulato della
scienza. Una volta realizzata la lezione, alla quale devono collaborare insegnanti ed alunni, si
passerà alla cosiddetta interrogazione che deve consistere in un colloquio diretto a realizzare la più
ampia estrinsecazione del pensiero dell’alunno ed a costituire il risultato, appunto, della
collaborazione dell’intera classe e degli insegnanti ed alunni, si passerà alla cosiddetta
interrogazione che deve consistere in un colloquio diretto a realizzare la più ampia estrinsecazione
del pensiero dell’alunno ed a costituire il risultato, appunto, della collaborazione dell’intera classe e
degli insegnanti. Il colloquio deve estrinsecare tutte le possibilità dell’alunno con chiarezza e in
piena libertà, facendo anche richiami alla vita quotidiana e sempre tenendo conto delle capacità e
della personalità in formazione dell’alunno. Alla lezione e al colloquio devono seguire delle
esercitazioni didattiche che consisteranno in opportune applicazioni, revisioni e chiarimenti di ciò
che si è potuto trarre dal colloquio. L’ultima parte, infine, di attività richiesta dal metodo didattico
attuale, concerne la correzione dei compiti: questa non deve essere fatta secondo il metodo
tradizionale ma va compiuta usufruendo al massimo della collaborazione fra insegnante ed ogni
alunno. Una correzione che risulti essere quasi la sintesi della lezione, della interrogazione o
colloquio e delle successive applicazioni ed esercitazioni, necessita cioè che l’insegnante corregga
davanti all’autore del compito ed alla scolaresca, documentando il perché della correzione,
discutendone con gli alunni, risalendo a quanto sino allora era stato detto ed appreso, gettando,
infine, la base per nuovi elementi da ricercare e da costituire oggetto di applicazione e colloqui
futuri. Una volta compiuta anche la fase della correzione, può scaturire fra l’altro la utilità di una
ricerca fatta da un singolo soggetto o da un gruppo di alunni: questo lavoro per equipe prende
dunque spunto dalla lezione che costituisce il punto di partenza di ogni attività scolare e si conclude
attraverso i risultati della ricerca di gruppo, ove si sperimenteranno anche le nuove indagini da
compiere e si formerà il primo orientamento professionale di ogni alunno13.
La scuola è una “comunità” secondo il primo titolo del D.P.R. n.416 del 31 maggio 1974, art.1-
41. Essa si presenta come un microsistema (Istituzione scolastica nei suoi vari livelli) rispetto al
macrosistema (Lo Stato, La Comunità Statale). Ciò,- come scrive il Dibitonto – chiaramente, ha
fatto cadere il vecchio adagio di una scuola a rimorchio della società ed ha conferito alla funzione
socializzante dell’Istituzione scolastica nuove prospettive. Infatti il bambino d’oggi, più o meno
rettamente, è già socializzato dal mondo esterno, dai mass-media, dal rapido ed evidente mutare
delle mode, talché se un tempo la conoscenza del mondo avveniva lentamente, spesso per il solo
tramite della ‘lezione’ del maestro, ora tale conoscenza è già acquisita. Compito del docente sarà
dunque essenzialmente quello di fornire capacità critiche, di favorire lo sviluppo della personalità,
di indirizzare l’allievo al concetto di vita sociale civilmente intesa.
Siamo dunque finalmente alla pedagogia della discenza, non già della docenza, siamo alla crisi
dell’insegnamento ‘frontale’ ed alla instaurazione di un rapporto affatto nuovo tra docente e
discente. Questa scuola – comunità è dunque comunità educante e quindi non solo gli insegnanti ma
tutti i suoi membri (Allievi- genitori- non docenti)sono fonte attiva di auto-educazione e di
educazione. Ciò, naturalmente, comporta l’abbattimento di certe pareti che rendevano ogni classe
‘riserva di caccia’ di questo o quell’insegnante con una carica di emulazione non tra allievi bensì tra
docenti che, forti di un metodo precostituito, ritenevano di essere gli unici depositari di un sapere
dogmatico. La scuola comunità educante è, al contrario, una scuola democratica e a classi aperte,
ove tutti sono oggetto di educazione, ove tutti sono protagonisti del far cultura15.
Perciò, in forza del processo di individualizzazione il docente elabora metodi e tecniche di
insegnamento adeguati a situazioni reali, in una cultura non solo umanistico-pedagogica ma anche
sociologica che lo induca a comprendere il significato e il tendere degli eventi storico- sociali, i
fenomeni connessi al territorio con la sua realtà, con i suoi condizionamenti, con le sue famiglie per
instaurare un dialogo didattico con l’allievo, conosciuto come persona.
Più che l’insegnante di “appoggio” o di “sostegno” o di “recupero” dall’altro, è bene avere un
insegnante di classe che sostenga e guidi in una scuola che aiuti a crescere, rispettando i ritmi di
crescita di ogni alunno, a ciascuno intrinseci. Allora si potrà parlare di classi aperte e di lavoro di
gruppo. Sarà possibile così- secondo l’articolo 28 della legge 118 del 1971, che parla di classi
aperte – rendere attuabile una reale formazione in senso autenticamente democratico, frutto di una
effettiva collegialità. Allora diventa fattibile un vero lavoro di gruppo, in cui leadership e alternanza
e subalternanza dei ruoli fanno gli alunni più attivi. In questo modo l’insegnante avrà il compito
dell’alternanza dei ruoli; vale a dire di guidarli in maniera tale che ogni alunno, spinto dalla
personale ricerca della verità e dalla emulazione dei compagni migliori, possa estrinsecare al meglio
le proprie capacità ed abilità 16 e condurrà l’alunno ad amare la luce (la sapienza), a desiderare
vivamente ed incessantemente la verità per viverla.
Compito del Maestro:
Il discepolo è, teoricamente, in uno stato di ignoranza, e l’ignoranza comporta sempre,se è tale,
una sorta di abulia della volontà con conseguente infiacchirsi dell’intelligenza, rispetto all’oggetto
da apprendere. L’ignoranza non è mai capace di muoversi verso il sapere. L’ignorante non chiede di
conoscere. In un mondo dove non penetra luce non si affaccia neppure l’ipotesi che la luce esista.
L’interesse di conoscere, il desiderio di sapere e di vedere comincia quando l’ignoranza è già
sfiorata da qualche iridescenza, quando la tenebra si rompe un poco, quel tanto che basta a farci
conoscere che non c’è tutta tenebra, ossia che al di là della tenebra c’è qualche cosa che non è
tenebra.
Pertanto, il maestro – secondo Agostino – deve sospingere il discente sulla strada della verità,
della ricerca continua della verità, suscitandogli lo stato d’animo di desiderare, di apprendere, di
aspirare, di conoscere, offrendogli almeno una vaga nozione di ciò che significa arrivare al possesso
della verità, dandogli quanto meno una certa idea di perfezione che vuol dire giungere via via a
vivere concretamente nel vissuto quotidiano la verità che viene gradualmente scoperta e raggiunta.
E così da “scienza (conoscenza) della verità” si passa alla “sapienza (conoscenza-amore) della
verità” che trasforma e rende felice la persona umana.
La Pedagogia (pàis àgo = conduco il fanciullo per mano) presuppone un condurre fondato sulla
adesione e collaborazione interna ed esterna del fanciullo stesso. La risposta educativa
dell’educando non è automatica, ma cosciente e libera. il fatto educativo è un divenire, uno sviluppo
percettivo di una persona umana secondo le modalità proprie della sua natura: fisica, individuale,
intellettuale, sociale, volitiva, affettiva, morale culturale, religiosa, terrena ed ultraterrena, naturale e
soprannaturale.
L’ istruzione è l’educazione relativa alla formazione dell’intelletto.
Nei confronti del problema religioso tutte le dottrine pedagogiche hanno avuto un atteggiamento
diversificato. Alcune hanno assunto una posizione ateistica (materialismo) o agnostica
(positivismo); altre un atteggiamento di estremo rigorismo religioso (giansenismo, pietismo); altre
ancora, pur nel riconoscimento del valore dell’educazione religiosa, ne hanno svuotato lo specifico
religioso promovendo un vago sentimento della religiosità ed un carattere prammatico rispetto alla
moralità (deismo, Kantismo); alcune posizioni hanno visto la religione come un momento della vita
spirituale destinato a risolversi nell’educazione filosofica (Gentile, Lombardo Radice); storicamente
parlando alcune dottrine pedagogiche hanno affermato l’indipendenza della scuola da ogni
confessione religiosa e il carattere laico dell’educazione; le moderne concezioni pragmatistiche e attivistiche
della educazione hanno assegnato alla educazione religiosa un carattere interconfessionale o superconfessionale; le dottrine marxiste pedagogiche hanno professato l’ateismo e il naturalismo, negando in maniera assoluta la cittadinanza nella scuola alla educazione religiosa; il laicismo contemporaneo, più che negare l’educazione religiosa, rifiuta oggi il suo riferimento ad una dottrina dogmatica e alla autorità della Chiesa.
Il rapporto educativo “ è una comunicazione o rapporto tra due persone umane; di cui una (l’educatore) possiede in atto una qualche perfezione partecipabile e quindi trasmissibile; mentre l’altra (l’educando) ancora non la possiede, ma ha la capacità di acquisirla scoprendo la verità in sé.
Il rapporto nasce dall’oggetto (un bene) convergente (presentato nella sua oggettività e nei suoi
segni sensibili e intelligibili); oggetto che è identico nel maestro e nel discepolo; ma che
soggettivamente nella specie intelligibile è simile in quanto viene conosciuto da ciascun intelletto
individuale personalmente ed originalmente. L’educando viene a conoscere questo bene oggettivo
come cosa interessante e quindi raggiungibile dalla sua personalità e vuole acquisirlo, essendosi
incontrato con esso attraverso l’educatore che glielo ha presentato: Vi è dunque, nella
comunicazione educativa, un incontro di due volontà (altrimenti vi sarebbe parvenza di
educazione). Qui sta il rapporto di educazione, che è stato tuttavia variamente interpretato19.
Tre sono le teorie principali che sintetizzano la storia della pedagogia: la positivista, la
idealista e la realista.
Se la formazione dell’uomo si attua in maniera adeguata quando ogni soggetto, nei limiti delle
sue capacità e delle sue energie, riesce a dare in ogni momento della sua vita il meglio di sé, allora
l’educazione si traduce in concreto in un processo che continua per tutta la vita. E sotto questo
profilo, la educazione è un qualche cosa che non si esaurisce nel tempo, ma che continua ancora
nell’adulto con una ininterrotta auto-educazione formativa dell’uomo e della società in cui vive.
L’educazione scolastica oggi tiene conto, nello svolgersi della comunicazione educativa:
1) della intelligenza di ogni singolo educando e della sua volontà quali elementi di fondo che
costituiscono il suo orientamento nella vita;
2) delle sue attitudini e disposizioni che lo fanno propendere verso una data attività piuttosto che
verso un’altra.
3) del suo carattere e della sua personalità cercando di integrare i fattori volitivi intellettivi con
quelli affettivi;
4) degli interessi e aspirazioni (“desiderata”) di ogni soggetto umano che rendono più manifeste le
sue tendenze profonde per realizzare se stesso sia personalmente che socialmente.
Si può parlare, allora oggi di una pedagogia nuova non solo nel senso che non si avvale più di
certi metodi tradizionali superati e ne ha aggiunti altri e migliori, ma anche perché educa al
collettivo, alla vita sociale nella sua complessità.
Sotto un “certo aspetto” si può parlare di auto-educazione non solo nei confronti dell’educando,
ma anche dell’educatore; e questo sia perché l’educazione non finisce mai e si prolunga per tutta la
vita e sia perché l’educatore, pur essendo guida al discepolo in un qualcosa del sapere che già
possiede in atto, può avvenire ad apprendere dall’allievo stesso “un qualcosa d’altro”.
Gli alunni disadattati:
Il trattamento educativo degli alunni disadattati di solito comprende due momenti distinti : il
primo nel quale si cercherà di allontanare il disadattato da quelle relazioni che lo turbano e lo
pongono tra gli handicappati, detto anche preventivo. Tali relazioni sono principalmente di natura o
tipo famigliare, ma concernono pure i rapporti con l’insegnante e con la società in genere. Il
secondo chiamato anche di intervento affettivo, nel quale si promuovono iniziative ricche di
esperienze particolarmente significative, come organizzare viaggi di istruzione, progettare e
realizzare opere di pubblico bene. (in ambiente extrascolastico); e, nell’ambito strettamente
scolastico favorire un utile e necessario aggiornamento degli insegnanti in merito, concordare una
maggiore dinamicizzazione ed integrazione dei programmi e dei metodi didattici, migliorare i
sistemi disciplinari e la qualità delle strutture. Compito e funzione della scuola è sicuramente di
promuovere e favorire nell’individuo soggetto educando, la presa di coscienza di se stesso, degli
altri e del mondo circostante.
Nella nostra volontà di educare formando, possiamo ancora riflettere su altre citazioni:
La vera vita dell’uomo non è quella che gli altri e che lui stesso vedono,con i sensi; non è data
dalla successione delle sue azioni e degli effetti visibili di esse nel mondo; bensì è una crescita, uno
sviluppo incessante, ora lento, ora rapido, di forze, di attività, di capacità, ossia è la dinamica della
personalità, che ciascuno può cogliere solo in se stesso. Per S. Agostino l’educazione è
principalmente autoeducazione e processo interiore (la conoscenza è una faticosa conquista
interiore e presa di possesso delle verità), come la pensava qualche secolo prima di Cristo anche
Socrate. Infatti Socrate stesso colloquiando con Teeteto, osservava che come l’ostetrica aiuta la

partoriente a dare alla luce il figlio ma non è ella a procurarglielo, così il maestro umano assiste
spiritualmente i discepoli a partorire la verità, senza fornirla direttamente , ma aiutandoli a scoprirla
in se stessi con conquista personale attraverso un interiore convincimento; e concludeva:” Ed è
chiaro che da me non hanno imparato nulla, bensì,proprio e solo da se stessi molte e belle cose
hanno trovato e generato; ma di averli aiutati a generare, questo sì, il merito spetta al dio e a me.
“non si diventa sapienti e saggi per comunicazione dall’esterno, ma per ricerca dentro di noi
della verità…….” (Semana)
Il maestro non potrebbe essere ‘maestro’ senza interiore illuminazione, che sarebbe soltanto un
retore, dispensatore di parole; il discepolo non potrebbe essere ‘scolaro ‘della verità, perché
apprenderebbe soltanto il vano suono delle parole ( Goretti M.)
Non si educa senza insegnare qualcosa.
Educare significa guidare alla formazione totale dell’essere umano come persona e tiene conto
non solo del rafforzamento fisico e dello sviluppo dell’intelletto e della volontà, ma anche delle
aspirazioni alla libertà ed alla religiosità, insita nell’animo umano. (Maritain)
L’obiettivo del nostro Istituto è quindi il giovane nella sua formazione fisica psichica culturale e
spirituale attraverso: l’ambiente, le conoscenze, i rapporti con il docente e i compagni, usando i
mezzi che la nostra società ci fornisce: i libri con i programmi curriculari; i libri come scelta
spontanea di lettura (biblioteca); il cinema; l’informatica; l’espressione artistica; ( che comprende la
fotografia, la pittura, la poesia, il romanzo, la danza, la musica); la conoscenza storica del nostro
territorio; la conoscenza di noi stessi nel nostro processo storico, culturale, evolutivo.


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